Fabienne Dahan

Riscrivere a maglia un romanzo di Marguerite Duras

Nadia Setti presenta la tesi di laurea di Fabienne Dahan

Nella sua tesi di laurea D'un (a-corps) à un corps-parole-écriture*, Fabienne Dahan tenta un percorso originale e ricco di suggestioni negli strati intermedi tra le materie della scrittura, del libro, dell'opera d'arte. La memoria del libro e della lettura non è solo memoria di una storia, di un contenuto ma di un rapporto corpo a corpo con la forma grafica ai limiti dell'informe. Il libro è pelle, superficie di iscrizioni, tela da dipingere, pagina da scrivere, pergamena, cordone ombelicale, corda, serpente. Le proposte plastiche si ispirano ad artisti contemporanei come Christian Jaccard, Claude Viallat, Grau-Garriga, Eva Hesse (corde, nodi, relazioni, radici, tessiture). Artiste-scrittrici come Annie Cohen. Assottigliandosi la corda diventa filo ed è con questo filo che Fabienne Dahan si è messa a tricoter, a lavorare a maglia, il romanzo di Marguerite Duras Le marin de Gibraltar. La sua lettura è di fatto una riscrittura che coincide con un ritorno alla materialità dello scrivere, che le permette di ingarbugliare (brouiller) il senso e di rinviare ai limiti confusi tra illeggibile e leggibile. Proponendo la traduzione di alcune pagine del capitolo "Écriture", è come se anch'io lavorassi a maglia, in lingua straniera, il suo tricotage del romanzo di Duras.
Nadia Setti

Interamente manoscritta con la penna biro nera questa riscrittura non lascia nessuno spazio bianco tra le righe. Questa scrittura non induce nessuna leggibilità. Mi è sembrato in questo modo di aver fatto un gran lavoro a maglia di parole, che non implica nessuna significazione. Tuttavia, se il romanzo è stato interamente riscritto, è perché ha un senso, anche in questo nuovo stato, ingarbugliato, forse soprattutto perché ingarbugliato. Carico di senso, deve continuare ad essere illeggibile… per paura di essere troppo leggibile?

Il senso del romanzo originale è del tutto leggibile. Può essere letto da chiunque desideri farlo. Ma forse è proprio questo il senso del romanzo di Duras, il desiderio. Il romanzo ha dunque un senso, e per di più riconosciuto pubblicamente. Io usurpo il ruolo dello scrittore, ma senza rischiare veramente di compiere un saccheggio. Non faccio altro che riprendere per me il senso che gli do, incollando la mia interpretazione del testo sul mio stesso corpo, poiché la scrittura è attaccata a se stessa. Le parole si fondono le une nelle altre, come la pelle del lattice può appiccicarsi a se stessa, come la pelle di una madre è incollata a quella del suo bambino, impedendogli di avere un desiderio proprio. Desiderio confuso, illeggibile.

La leggibilità della mia confusione (brouillage) di parole non mi era del tutto comprensibile durante il mio tricotage. Poiché io stessa non capivo questo gesto assurdo, ho voluto prima di tutto render conto di ciò che la lettura rappresentava per me: un garbuglio (embrouillage) di parole le une nelle altre, senza nessun senso. Del resto è questa sensazione, questa difficoltà, che è stata utilizzata, messa in evidenza, invece di essere sotterrata, come materiale della mia ricerca, per cercare di capire e sbrogliare quello che si nascondeva dietro. È diventato il materiale fondamentale della mia interrogazione. [...]

Le marin de Gibraltar ha avuto un grande valore simbolico per me. È stato in un certo senso il "mio" libro, essendomi identificata allo scrittore che fa nascere un personaggio alla ricerca incessante del suo desiderio per il marinaio. Mi sono impadronita del testo riscrivendolo [...] Si direbbe una mise en abyme del testo: il lettore rincorre un sogno impossibile, attraverso lo scrittore che lui stesso rincorre un sogno impossibile, attraverso i suoi personaggi, che loro stessi rincorrono un sogno impossibile ...

Parallelamente a questa ricerca vana per ritrovare il marinaio di Gibilterra, la cui conclusione significherebbe la morte di questo desiderio, la scrittura "riscritta" rimane una ricerca irrealizzabile, e deve restare illeggibile.

Il testo scritto talvolta a matita, questa volta leggibilmente, manoscritto, insiste sul fatto che sono proprio io ad averlo scritto, e pure annotato, si tratta quindi del manoscritto originale. Dunque l'autrice sono io, il reale "autore" ha preso il mio posto!

Ma la comprensione iniziale di quei pezzi di frasi manoscritte con la matita, è dovuta al fatto che sono come brandelli sfuggiti all'intelligibilità del testo. Il testo è "registrato" in sordina, mentalmente, sebbene ragioni ancora sconosciute ne vietino la visibilità, la leggibilità. Suo malgrado, la "vista interna", sensibile, del testo si compie, prima ancora di una visione positiva, esterna. Queste frasi a matita attestano un'iscrizione mentale del testo, in un'eco interna, nonostante l'incertezza della comprensione esterna.

Al contrario dei rotoli di scrittura di Annie Cohen, io ho conservato la punteggiatura e i paragrafi, così come la concatenazione dei dialoghi. Malgrado l'illeggibilità, è stato conservato un senso al testo.

Le pagine scritte formano uno schermo. Nel gioco a nascondino, è in gioco lo sguardo: la scrittura e la lettura cercano di mostrare, vedere, nascondere, scoprire. Qui la leggibilità è resa ingarbugliata, messa a distanza, impedita. Sotto questo velo di parole, la scena originaria non si lascia intravedere. [...]

Le pagine bianche che costellano il "mio" libro rinviano a un'impossibilità. Rendono più crudele questa illeggibilità. Sono lo specchio rovesciato delle pagine scritte, illeggibili. Le pagine bianche rinviano alla cecità creata dalle pagine scritte. Formano a loro volta uno schermo, impediscono la messa in luce del senso, la percezione della scena originaria.

Laddove lo spazio bianco è stato negato per poter leggere, il bianco inonda interamente lo spazio come risposta. Il bianco fa allora male agli occhi come la luce fa male agli occhi quando si viene dal buio, dall'oscurità. Troppo nero senza decifrazione possibile perché sovraccarico, a cui corrisponde troppo bianco, in un silenzio di morte. Un eccesso di senso è controbilanciato da un vuoto eccessivo (Julia Kristeva, Au commencement était l'amour).

L'impaginazione è stata conservata, ma le pagine sono accompagnate da spazi bianchi sempre più grandi. I numeri di pagina corrispondono, ma non sono sempre fianco a fianco. Gli spazi bianchi fanno capire che non si tratta soltanto di pagine, ma di cifre ben più elevate, che non possono nemmeno più contarsi - così come i molteplici tragitti delle api vanno a confluire nella fabbricazione del miele - e corrispondono a un tragitto ben diverso da quello della lettura del romanzo.

Se è proprio un romanzo ad essere stato riscritto interamente, corpo già costituito di cui mi nutro, il "mio" libro così ottenuto non è destinato a un pubblico ricettore, a una lettura aperta agli altri. Rimane nel campo intimista: un diario che si porta in cuore. Portandolo verso lo sguardo esterno, gli do un altro approccio, in quanto materiale della problematica plastica, in una distanza rispetto al mio movimento iniziale.

Ho conservato il valore del libro, fedele alla scansione scelta dall'autrice. Di fatto annetto la frammentazione voluta del testo così come la continuità sognante della scrittura. Se la scrittura è illeggibile, ammette un supporto strutturato, che rinvia alla discontinuità, al taglio, alla sequenza del libro, e questo, diversamente dal rotolo continuo.

Dopo vari mesi trascorsi a scriverlo, interamente concentrata, e anche dopo averne riscritto certe pagine, dopo avere disfatto e rifatto le maglie, quando il tricotage non mi bastava più, dopo essermene presa cura, in raccoglimento, ho rilegato le pagine e fabbricato un libro. In seguito ho volontariamente sciupato il libro per conferirgli un aspetto invecchiato, usato, tante volte sfogliato, da molto tempo.

Fabienne Dahan

(trad. di Nadia Setti)

* Tesi di laurea mista (Letteratura, Arte) presentata nel giugno 2004, sotto la direzione di Georges Bloess, Université de Paris VIII, Vincennes à Saint-Denis