Tempo di riscoperta
"Leggendaria" n. 45, giugno 2004
recensione a Duras mon amour 2 e Duras mon amour 3
Da alcuni anni è attivo in Italia un gruppo di studiose/i che lavora attorno alla figura e all'opera di Marguerite Duras. Duras mon amour è il nome che il gruppo si è dato ed è anche il titolo di un almanacco, curato da alcuni esponenti del gruppo stesso, che con cadenza irregolare raccoglie e offre ai lettori una serie di studi e saggi dedicati alla scrittrice francese, nonché alcune utilissime rubriche di servizio tali da rendere i volumi uno strumento indispensabile per chi volesse seguire l'evoluzione degli studi durassiani qui in Italia.
Anche da noi è forse giunto il momento di tornare a leggere Marguerite Duras. Passata la sbornia di celebrità che il successo internazionale de L'amant aveva riversato su tutta la sua produzione e sulla cui onda si era tradotto e pubblicato quanto più si poteva. Pubblicato nel 1984, L'amant è stato infatti tradotto in più di quaranta lingue ed è uno dei più grossi successi dell'editoria francese nella seconda parte del secolo (solo in Francia ne sono state stampate qualcosa come 2.360.000 copie1). A prolungare il successo ha contribuito la versione cinematografica del 1991 per la regia di Jean-Jacques Annaud.
Dopo la morte della scrittrice, avvenuta il 3 marzo 1996, e alcuni anni di relativo oblio, è forse maturo il tempo di una riflessione pacata, volta a separare Duras dal durassismo e a consegnare la sua opera nelle mani di lettori giovani, dalle menti fresche e non contaminate; quei "piccoli allievi" di cui anche Duras stessa parlava alla fine della sua vita.
Per la Francia è stata Jeanne Moreau a sottolineare come sia venuto il tempo di un recupero. Amica ed alter ego cinematografico della scrittrice cui ha in diverse occasioni prestato faccia e voce, nel presentare al Festival di Venezia del 2001 il film Cet amour-là2, Moreau si chiede in un'intervista che cosa pensano, oggi, i giovani della Duras. E risponde ammettendo che per Marguerite gli ultimi anni sono stati "un periodo di purgatorio. Succede sempre così. Oggi siamo in un momento in cui molti dicono di lei: la sua è cattiva letteratura. Ma è un momento che passerà, anzi sta già passando. Oltretutto Duras non ha scritto solo di amore, sapeva essere anche un'autrice molto divertente".
Presso gli amici, è vero, la risata di Marguerite, la sua allegria, fa parte dei ricordi più intimi. Ma il pubblico è abituato, dai tempi di Hiroshima mon amour, il film di Alain Resnais del 1959 per cui lei scrisse i dialoghi e la sceneggiatura, a sapere di doversi confrontare con tematiche dure. Che lei traeva dal profondo del suo essere, dalle sue luci e dalle sue vaste zone d'ombra. Ombra anche più spessa e coinvolgente, per noi che leggiamo in questi mesi di discutibili missioni di pace e di guerre indiscutibilmente vergognose, quella relativa al caso Delval che si svolge verso la fine dell'occupazione tedesca di Parigi e che vede Duras nell'ambiguo ruolo di amante, resistente e infine forse torturatrice. Charles Delval, collaboratore della Gestapo, è avvicinato nel 1944 da Duras che è alla ricerca di informazioni sul marito Robert Antelme, prigioniero dei tedeschi. La scrittrice avvia con Delval una relazione strana, alla fine della quale Dionys Mascolo, all'epoca amante di Duras, si ritrova ad aspettare un figlio dalla moglie di Delval. Tutto l'affaire è ricordato nella biografia di Duras, pubblicata da Laure Adler nel 1997. Delval sarà fucilato nel 1945 dopo un processo influenzato dalla durissima testimonianza resa da Duras.
In effetti, sia Duras (malgrado un precedente periodo di collaborazione con un organismo di controllo editoriale messo in piedi dai tedeschi), che Antelme, che Mascolo facevano parte della rete di resistenza animata da François Mitterrand. Sempre secondo Laure Adler, Marguerite Duras ha partecipato ad alcuni interrogatori cruenti. In alcune interviste Adler riporta che Duras le ha confessato di aver torturato (ma, secondo Mascolo, Marguerite poteva aver definito "torturare" un interrogatorio solo particolarmente brutale) un collaboratore anche se di questo non ha trovato alcuna testimonianza diretta. "Credo - aggiunge Adler a proposito di quegli interrogatori - che la piccola martirizzata e picchiata aveva preso il sopravvento e pensava di regolare i conti attraverso la violenza. La cattiveria dimostrata a volte nelle sue relazioni personali, anche questa è, a mio avviso, da ricondursi alle sofferenze della sua infanzia. La sua condizioni di bambina picchiata, non desiderata, l'assenza di amore di sua madre, hanno rafforzato in lei il sentimento di solitudine e l'incapacità di credere negli altri. La scrittura l'ha salvata, perché ha trovato molto presto nelle parole il mezzo per lottare contro lo smarrimento profondo che il mondo le ispirava".
Anche se l'affaire Delval resta impossibile da chiarire del tutto, rimangono le pagine dei cahiers (originari del 1945 e rimaneggiati trent'anni dopo) che Duras raccoglie nel 1985 e pubblica sotto il titolo de La douleur. Scrive Duras : "Ho un ricordo orribile. Orribile. Quest'uomo che sanguinava perché era stato picchiato, e che era grosso… Infine credo che la tortura del tizio, non avrei mai potuto evitarla, ecco qui, mai. Occorreva che passassi attraverso questo. Credo che l'odio era tale che ne sarei morta. Non volevo ammazzarlo. Lui non è morto. Ma evitare di torturarlo… questo no". Giustamente Raoul Iaiza (Duras mon amour 2) si interroga a proposito di La douleur sul rapporto tra memoria e oblio, su che cosa sia più efficace trasmettere ai nostri figli per uscire dall'orrore della guerra, dalla bestia scappata di mano a tutti, riconoscendo che il testo di Duras pone domande dolorosissime che non tutti hanno la capacità di formulare. Un motivo di più per rileggerla, per la sua capacità di consegnarci le zone oscure del cuore umano e l'intangibilità dell'esperienza. Come scrive Nadia Setti (Duras mon amour 2): il racconto non può che affiorare dalla notte, è dal buio infatti che scaturisce la transizione all'atto di scrittura o di creazione cinematografica.
L'attenzione ai giovani, i piccoli allievi che non possono ricordare ma che pure potrebbero essere toccati dall'intensità degli interrogativi che Duras lascia germinare nella mente del lettore, è la scommessa operata dall'insieme del secondo volume di Duras mon amour, che riprende gli atti di un convegno sulla scrittrice organizzato da un liceo, l'Isaac Newton di Chivasso, e dalla Facoltà di Lingue e letterature straniere dell'Università di Torino. L'attenzione ai giovani veniva forse a Duras da lontano, dalla sua infanzia e adolescenza in Indocina. Paola Bava (Duras mon amour 2) sottolinea come tra il 1950 e il 1991 Duras riscriva molte volte la storia della sua infanzia che, come un'ossessione, non riesce ad abbandonare. Nel 1950, in piena guerra d'Indocina, Duras pubblica Un barrage contre le Pacifique in cui per la prima volta ricorda, con una forte connotazione anticolonialista, la sua terra natale e le vicende relative al fallimento economico di sua madre. Bava si concentra principalmente su uno dei testi successivi, l'Eden Cinéma, un testo teatrale del 1977 in cui Duras attraverso la rappresentazione cerca di riallacciare un dialogo con sua madre. Quel dialogo che mai la madre (morta già da vent'anni) aveva consentito sentendosi infine anche tradita e offesa dalla figlia per la denuncia, da lei fraintesa, contenuta nel Barrage.
Duras riscrive, rilegge, rimodella i suoi libri, i suoi personaggi, la sua storia in continuazione. Come scrivono Edda Melon ed Ermanno Pea nell'introduzione al terzo volume di Duras mon amour, ricordando le parole della scrittrice: "Io cerco di fare quelli che chiamo dei libri aperti, delle proposte, delle strutture nella quali il lettore "faccia scivolare" il suo libro". Lei stessa scivola con assoluta indifferenza dalla narrazione al cinema al teatro alla fotografia adoperando quello che meglio si presta al momento a dare forma a ciò che ha dentro.
Sul rapporto tra fotografia e scrittura in Marguerite Duras si sofferma Monica Farnetti (Duras mon amour 3). Farnetti sottolinea quanto siano centrali per gli studi durassiani gli interrogativi relativi a che cosa sia per la scrittrice la memoria dell'infanzia indocinese e a come questa memoria funzioni nel percorso della sua scrittura. La fotografia, secondo Farnetti, può essere lo strumento utile ad evidenziare tale meccanismo. L'aderire progressivo di Duras alla scrittura autobiografica è in funzione di un diverso bilanciamento, operato in età matura, tra ciò che va dimenticato e ciò che deve essere ricordato: ricordare è infatti una competenza dolorosa e difficile. È nel 1977, redigendo il commento alle fotografie che formeranno il libro Les lieux de Marguerite Duras, che la scrittrice si trova di fronte ad una diversa messa a fuoco della sua infanzia. "Si era più vietnamiti, vede, che francesi. È questo che io scopro ora, è che era falsa, questa appartenenza alla razza francese, alla, scusi, nazionalità francese. Noi, si parlava vietnamita", scrive Duras. È proprio in questo corto circuito tra fotografia e scrittura che scatta qualcosa e può iniziare a dipanarsi la matassa del passato.
Tornando alle diverse forme della narrazione di Duras, sono centrali nel volume le pagine che Edda Melon (Duras mon amour 3) dedica al film Baxter, Véra Baxter - film testo teatro. Melon ricostruisce la gestazione e le diverse varianti di questo testo "ibrido" soffermandosi infine sulla versione (cinematografica) del '76. In questo film, forse influenzata dalle discussioni con Xavière Gauthier (con la quale aveva scritto due anni prima le conversazioni di Les parleuses), Duras assegna ad un'altra donna, la Sconosciuta, il ruolo di salvare Véra Baxter e riportarla verso la vita. Nelle precedenti versioni e in quelle successive il ruolo era e resterà assegnato ad un uomo. Duras giudicò in seguito un errore la scelta operata nel film perché il confronto tra le due donne non aveva funzionato indebolendo l'insieme. Melon corregge il giudizio di Duras. Al contrario di Duras, che riteneva centrale per la storia la dimensione del desiderio tra Véra e lo Sconosciuto, Melon suggerisce l'idea che il film sia terribilmente giusto e arrivi a rappresentare, malgrado quello che la regista stessa intendeva fare, uno spazio temporale rarefatto, un'immagine stilizzata del possibile rapporto tra due donne. Come scrive Julia Kristeva: "Nessuna comunicazione tra individui, ma corrispondenza di atomi, di molecole, di briciole di parole, di gocce di frasi. Comunità di delfini"3.
Concludendo, le righe che precedono danno solo una piccola idea dei temi e degli approfondimenti contenuti nei volumi di Duras mon amour 2 e 3. Tutti interessanti anche se è impossibile non segnalare Ermanno Pea che si sofferma su uno scritto breve di Duras, L'homme assis dans le couloir, o Maria Inversi che ne esamina gli allestimenti teatrali. In Duras mon amour 3, si segnalano inoltre una conversazione del '75 tra Michel Foucault ed Hélène Cixous a proposito di Marguerite Duras, e un articolo sulla figura della mendicante indiana del Vice-consul firmato nell'81 dalla principale studiosa di Duras, Madeleine Borgomano, entrambi i pezzi mai comparsi prima in italiano.
Nel complesso una lettura estremamente stimolante e un lavoro, quello del gruppo Duras mon amour da cui traspare l'enorme amore e cura per l'opera della scrittrice. Duras diceva che la critica immobilizza il libro, lo addormenta, lo separa da sé e senza saperlo lo uccide. Sarebbe sorpresa forse Duras di constatare quanto viva e vicina a noi la sua opera esca da queste pagine.
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1 Dati forniti dalla casa editrice parigina Éditions de Minuit.
2 Il film è tratto dal libro Cet amour-là scritto da Yann Andréa, l'ultimo compagno di Duras. Libro e film narrano gli ultimi anni di vita della scrittrice dall'incontro con Yann nel 1980 al 1996. Nel film Jeanne Moreau interpreta Marguerite Duras.
3 Julia Kristeva, Eretica dell'amore, a cura di Edda Melon, La Rosa, Torino 1979 (il testo originario è del 1977).
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